DeFi e DAO: un vuoto normativo europeo da colmare
Finanza decentralizzata (DeFi) e Organizzazioni Autonome Decentralizzate (DAO) rappresentano la frontiera più innovativa del settore crypto. In Europa e in Italia, tuttavia, per disinteresse o per incapacità...

Finanza decentralizzata (DeFi) e Organizzazioni Autonome Decentralizzate (DAO) rappresentano la frontiera più innovativa del settore crypto. In Europa e in Italia, tuttavia, per disinteresse o per incapacità di legislatori e regolatori, si è venuto a creare un limbo giuridico che danneggia sia gli innovatori che gli utenti.
È tempo di porsi il problema di una regolamentazione equilibrata che tuteli senza burocratizzare.
L’ecosistema di DeFi e DAO ha raggiunto una maturità tecnologica e una rilevanza economica che non può più essere ignorata dai regolatori europei: parliamo di oltre 100 miliardi di dollari di valore totale bloccato (TVL) nei protocolli DeFi e centinaia di DAO che gestiscono treasury multimilionarie.
Con simili dimensioni questi fenomeni rappresentano ormai una componente strutturale dell’economia digitale globale.
Ciononostante, mentre l’innovazione tecnologica accelera, il quadro normativo europeo e italiano arranca, e ha lasciato un vuoto normativo che espone utenti e operatori a rischi significativi.
Il recente Regolamento Europeo MiCAR, pur con tutti i suoi limiti, ha indubbiamente il merito di aver spinto decisamente in avanti la regolamentazione delle crypto-attività. Tuttavia, ha deliberatamente escluso dal proprio ambito di applicazione proprio i settori più innovativi e dinamici del panorama blockchain.
La DeFi: la grande esclusa dal MiCAR
Il MiCAR (Reg. (UE) 2023/1114) ha escluso esplicitamente la DeFi dal suo ambito di applicazione: l’articolo 142 del regolamento si è limitato a demandare alla Commissione Europea una valutazione specifica sulla finanza decentralizzata entro il 30 dicembre 2024.
Con ciò, ha ammesso implicitamente l’inadeguatezza del framework attuale.
Questa esclusione non è casuale, ma riflette le enormi difficoltà concettuali che i regolatori tradizionali incontrano nel confrontarsi con architetture realmente decentralizzate. Come qualificare giuridicamente un protocollo come Uniswap, che opera attraverso smart contract automatizzati senza una struttura aziendale tradizionale? Come identificare il soggetto da qualificare come responsabile quando un algoritmo di Aave esegue automaticamente migliaia di prestiti giornalieri?
La DeFi, infatti, replica servizi bancari tradizionali (prestiti, depositi, trading) ma li eroga attraverso protocolli decentralizzati che operano su blockchain pubbliche, eliminando intermediari centralizzati e sostituendoli con smart contract auto-eseguibili.
Ad esempio, Compound permette di prestare e prendere in prestito criptovalute senza banche; Curve Finance facilita lo scambio di stablecoin senza broker; MakerDAO genera la stablecoin DAI attraverso un sistema di governance completamente decentralizzato.
Questi protocolli gestiscono volumi che superano quelli di molte banche tradizionali, ma operano in un vuoto normativo che li rende, paradossalmente, sia onnipresenti che giuridicamente inesistenti.
DAO: organizzazioni del futuro con problemi del presente
Le Decentralized Autonomous Organizations rappresentano forse l’innovazione più radicale introdotta dalla tecnologia blockchain nel campo della governance organizzativa: una DAO è un’entità governata da smart contract e token di governance, dove le decisioni vengono prese collettivamente dai membri attraverso meccanismi di voto on-chain, senza strutture gerarchiche tradizionali.
Per fare un esempio, MakerDAO gestisce un protocollo DeFi con oltre 8 miliardi di dollari di valore bloccato attraverso un sistema di governance completamente decentralizzato. I detentori di token MKR votano su parametri cruciali come i tassi di interesse, i tipi di collaterale accettati e le politiche di rischio. E tutto questo, senza che esista un legale rappresentante, un consiglio di amministrazione o altri organi societari tipici, nel senso tradizionale.
Questo modello organizzativo presenta una serie di vantaggi evidenti: trasparenza totale delle decisioni, partecipazione globale senza barriere geografiche, resistenza alla censura e allineamento economico tra i membri.
Tuttavia, esso pone anche problemi giuridici inediti e molto rilevanti, che il sistema legale italiano ed europeo fatica ad affrontare.
Il rischio della società di fatto: quando l’innovazione diventa responsabilità illimitata
Se consideriamo il sistema normativo nazionale, in Italia, l’assenza di riconoscimento giuridico delle DAO nel Codice Civile crea una situazione paradossale. Le forme societarie tradizionali – S.p.A., S.r.l., società di persone – risultano tutte inconciliabili ed inadeguate per strutture decentralizzate che, per definizione, non hanno amministratori identificabili, sede legale definita o quote nominative trasferibili.
Questo però comporta che, applicando i canoni generali del diritto, una DAO (che comunque è l’infrastruttura attraverso la quale vengono svolte attività di rilevanza economica in modo regolare e sistematico) potrebbe essere qualificata come una società di fatto.
E questo con conseguenze potenzialmente devastanti per i partecipanti: secondo l’articolo 2267 del Codice Civile e la consolidata giurisprudenza di legittimità, una società di fatto si considera esistente quando viene posta in essere un’attività produttiva in forma associata, anche senza atto costitutivo formale.
Gli elementi costitutivi – pluralità di soggetti, conferimenti, scopo economico, gestione comune e partecipazione agli utili – sono facilmente riscontrabili in molte DAO contemporanee. I detentori di governance token partecipano collettivamente alle decisioni su allocazioni di treasury multimilionari, ricevono ricompense proporzionali al loro possesso e contribuiscono alla gestione del protocollo.
Ora, la qualificazione come società di fatto comporterebbe una forma di responsabilità patrimoniale illimitata per tutti i membri attivi nella governance (che verrebbero di conseguenza qualificati come soci e amministratori di fatto). Pertanto, finirebbero per rispondere personalmente e solidalmente per le obbligazioni dell’organizzazione, illimitatamente con tutto il loro patrimonio. In un settore dove gli hack e le vulnerabilità smart contract possono causare perdite di decine di milioni di euro, questa prospettiva rappresenta un grave deterrente per qualsiasi partecipazione consapevole.
L’esempio americano: quando la regolamentazione abilita l’innovazione
Mentre l’Europa tentenna, altri ordinamenti stanno sviluppando approcci più pragmatici. Lo stato del Wyoming nel luglio 2021 ha approvato una legge specifica sulle DAO creando un veicolo societario ad hoc: la figura della DAO LLC (Decentralized Autonomous Organization Limited Liability Company).
Questo modello societario permette di incorporare una DAO all’interno di una struttura a responsabilità limitata, riconoscendo la specificità di organizzazioni decentralizzate senza forzarle in categorie giuridiche inadeguate. La DAO LLC può essere gestita dai membri o da algoritmi, purché gli smart contract siano operativi al momento della costituzione.
Il sistema potrebbe funzionare anche in Europa: un vecchio trattato del 1954 tra USA e Germania consente il riconoscimento automatico delle DAO LLC americane in Germania, e da lì, per il principio di libertà di stabilimento dell’articolo 49 TFEU, in tutta l’Unione Europea.
Questo approccio risolverebbe il problema fondamentale della responsabilità limitata senza soffocare le caratteristiche innovative delle DAO. I semplici detentori di token mantengono la protezione patrimoniale, mentre i soggetti con ruoli attivi nella gestione assumono responsabilità definite e proporzionate.
Ciò non toglie che non sarebbe affatto male se anche nel vecchio continente si concepisse un veicolo societario dedicato a queste realtà, rispettandone le peculiarità.
Le sfide pratiche: identificazione, territorialità e governance algoritmica
Il problema della responsabilità, quando si parla di DeFi e DAO, non è l’unico: ci sono altre sfide sistemiche al diritto tradizionale. La prima è la mancanza di soggetti univocamente identificabili, che rende difficile l’imputazione di effetti giuridici. In molti protocolli, i partecipanti sono identificabili solo attraverso la chiave pubblica dei loro wallet, creando problemi insormontabili per l’applicazione di norme su identificazione, antiriciclaggio e protezione dei consumatori.
C’è poi la questione territoriale a complicare ulteriormente il quadro: una blockchain sufficientemente distribuita non è agevolmente riconducibile a una specifica giurisdizione. Quando i nodi di un protocollo DeFi sono distribuiti su continenti diversi e i partecipanti provengono da decine di paesi, quale tribunale ha competenza in caso di controversie?
Il “contratto è nel codice” (code is law) rappresenta un’altra rivoluzione concettuale. Nei protocolli DeFi, spesso non esiste un regolamento contrattuale tradizionale: le regole sono incorporate negli smart contract, che possono essere modificati solo attraverso processi di governance decentralizzata. Questo crea situazioni in cui le “clausole contrattuali” sono dinamiche, votabili e talvolta non immediatamente intellegibili senza competenze tecniche specifiche.
Antiriciclaggio e DeFi: l’impossibile applicazione della Travel Rule
Il recente D.Lgs. 204/2024che ha recepito il Regolamento UE 2023/1113 sulla Travel Rule per le crypto-attività, evidenzia ulteriormente l’inadeguatezza dell’attuale framework normativo.
Il decreto impone obblighi informativi per trasferimenti di cripto-attività superiori a 1.000 euro, e impone la trasmissione di dati identificativi tra prestatori di servizi. Ma come si potrebbe mai applicare questa norma a uno scambio su Uniswap, dove non esiste un prestatore di servizi centralizzato, ma solo smart contract che eseguono automaticamente le transazioni?
La normativa antiriciclaggio presuppone l’esistenza di soggetti obbligati identificabili, mentre la DeFi opera proprio eliminando questi intermediari. Il risultato è un sistema normativo che ignora completamente le modalità operative dei protocolli più innovativi, lasciando sia gli operatori che gli utenti in una zona grigia di incertezza legale.
Alla ricerca di una regolamentazione equilibrata
La sfida per i regolatori europei e italiani non è semplice, ma nemmeno impossibile. L’esperienza di altri settori innovativi – dal fintech tradizionale all’intelligenza artificiale – dimostra che è possibile sviluppare framework normativi che bilanciano protezione e innovazione.
I principi guida per una regolamentazione equilibrata di DeFi e DAO dovrebbero includere:
Proporzionalità normativa: non tutti i protocolli DeFi presentano gli stessi rischi. Un sistema di lending decentralizzato con miliardi di TVL richiede oversight diverso rispetto a un protocollo sperimentale con poche migliaia di euro. La regolamentazione dovrebbe essere graduale e proporzionata alla rilevanza sistemica.
Neutralità tecnologica: le norme dovrebbero concentrarsi sui risultati e sui rischi, non sulle specifiche implementazioni tecniche. Se un protocollo eroga servizi di investimento, dovrebbe essere soggetto a regole appropriate indipendentemente dalla sua architettura decentralizzata.
Sandbox regolamentari: l’Italia potrebbe introdurre spazi normativi sperimentali specifici per DeFi e DAO, permettendo l’innovazione controllata mentre si sviluppa la comprensione normativa di questi fenomeni.
Riconoscimento di modelli organizzativi ibridi: Invece di forzare le DAO in categorie societarie inadeguate, si potrebbero sviluppare forme giuridiche specifiche che riconoscano le loro caratteristiche uniche mantenendo adeguate protezioni per i partecipanti.
L’urgenza di agire: il rischio dell’irrilevanza europea
Mentre l’Europa esita, altri ecosistemi si stanno posizionando come hub globali per l’innovazione DeFi. Singapore ha sviluppato framework specifici per asset digitali, la Svizzera ha creato percorsi normativi chiari per organizzazioni blockchain-based, gli Emirati Arabi Uniti stanno attirando protocolli DeFi con regolamentazioni pragmatiche.
Qui il rischio (che sfortunatamente non sembra essere gran che percepito) non è solo economico ma anche strategico: perdere il treno della DeFi significa marginalizzarsi in quello che potrebbe essere il futuro dell’infrastruttura finanziaria globale. Le central bank digital currencies (CBDC) che molte banche centrali stanno sviluppando utilizzano tecnologie e architetture concettuali derivate dalla DeFi. Non comprendere e regolamentare questi fenomeni oggi significa trovarsi impreparati per le sfide monetarie di domani.
Ormai è piuttosto evidente che finanza decentralizzata e DAO non sono mode tecnologiche destinate a scomparire, ma rappresentano evoluzioni strutturali del sistema finanziario e organizzativo. La loro capacità di ridurre costi, aumentare l’accesso ai servizi finanziari e democratizzare la governance economica ne fa strumenti potenzialmente trasformativi per l’intera società.
L’Europa e l’Italia hanno l’opportunità di posizionarsi come leader nella regolamentazione intelligente di questi fenomeni, sviluppando framework che proteggano gli utenti senza soffocare l’innovazione. Ma questa finestra temporale non rimarrà aperta indefinitamente.
Come dimostra l’esperienza del MiCA con le stablecoin, regolamentazioni troppo rigide rischiano di spingere l’innovazione verso giurisdizioni più accoglienti, lasciando gli utenti europei tagliati fuori dai benefici del progresso tecnologico.
È tempo che i regolatori europei affrontino con coraggio e pragmatismo le sfide poste da DeFi e DAO, sviluppando un quadro normativo che sia al tempo stesso protettivo e abilitante. Il futuro della finanza europea potrebbe dipendere da questa scelta.
La posta in gioco è troppo alta per permettersi ulteriori tentennamenti: o l’Europa diventa protagonista della regolamentazione DeFi, o rischia di rimanere spettatrice del proprio declino nell’economia digitale globale.
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